La riconoscibilità del nostro profilo è il risultato di un compromesso tra spirito e vita. Paghiamo il conto, per tanta consuetudine, ad un’economia che ci piega: percepiamo, in questo modo, ciò che conviene, inconsapevolmente. Come per un nome, la figura si fa linguaggio – ci chiamiamo attraverso i lineamenti sgrossati, utilizzando le fattezze stilizzate. Ci somigliamo definitivamente, diventiamo noi stessi e coincidiamo con le sommarie parole che ci definiscono: le nostre generalità, appunto. Ci rincorriamo nel deserto come nella fotografia, tanto nella città concreta quanto nella parcellizzazione informatica, eludendo il tremendo pericolo della scena impossibile, del gesto inconcludente, dell’irriconoscibilità del cambiamento radicale.
Nostro desiderio, ancora inconsciamente, è la realtà: bramiamo il mondo che non c’è, al di là della creazione di senso individuale e collettiva, del sapere personale e della storia. Motore delle apparenze, il verosimile ci porta al largo, attraverso un’elaborazione delle strutture tipiche e della nostra volontà. Ciò potrà convincerci irrevocabilmente che noi, davvero, non siamo. Mai stati da sempre, proprio come per un’illusione. La verità, a cui tutti aneliamo, obbliga l’immaginazione ad attivarsi, a ritagliare l’effigie di ciò che resterà riconoscibile. Immaginare diventa la capacità di creare il nostro universo dal nulla: al di là fuma il niente, nello spettro delle evaporate essenze.
Metonimia della visione è quest’azione di convincimento. Riconoscere l’uomo dai lineamenti del volto equivale, in termini retorici, a denominare una cosa con il nome di un’altra. Che la prima possa essere considerata in relazione di dipendenza o di continuità con la seconda è potere del simbolico: collo di bottiglia, bicchiere di vino, decisione del cuore. Intrappolati nelle parole, spieghiamo il procedimento con un’ulteriore locuzione: prendere confidenza. Vanitas Vanitatum, sterminata forza del fallimento, emergente nella continua sostituzione linguistica del luogo originario, del momento immacolato! Per un’analogia dello spostamento, sostituiamo idee e immagini con altre associate ad esse, per renderle più affabili. Per inventarne l’abitudine futura, la nostra.
Verità è anonima e parziale, così sia: non sarà mai materia di un sapere posseduto. La conoscenza, anzi, è dominio degli oggetti e si oppone all’individuazione dell’anima, nucleo fondante. In una sorta di magazzino inconscio e impersonale sembrerebbero essere depositati i simboli grammaticali e sociali, privi di significazione, stoccati finché non riusciranno ad incarnarsi in una persona. Amen: venuto alla luce, il soggetto conferirà significato a questi frammenti atavici, affaccendandosi intorno a un’unità astratta. Per conferire carattere antropomorfico al mondo circostante, lavorerà sul proprio aspetto, come se uno specchio l’avesse plasmato da un’origine informe. Il nostro viso sarà la prima delle apparenze, modellante ed efficace: il modo per incontrarci in un mondo inesistente. Per scambiarci un segno di pace.
Ivan Fassio